Le società a controllo pubblico ex D.Lgs. 175/2016: un’interpretazione empirica anche riferibile alle società in-house

di Cristiano Eberle

Stante l’approssimarsi delle scadenze di bilancio, le società a controllo pubblico ex D.Lgs. 175/2016 (TUSP) devono giocoforza ottimizzare, per poi rendere le medesme pubbliche, al pari del bilancio civilistico, le risultanze dell’unbundling contabile previsto dal I c., art. 2 del citato Provvedimento. La norma, nello specifico, così dispone: «Le società a controllo pubblico, che svolgano attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi, insieme con altre attività svolte in regime di economia di mercato, in deroga all’obbligo di separazione societaria previsto dal comma 2-bis dell’articolo 8 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, adottano sistemi di contabilità separata per le attività oggetto di diritti speciali o esclusivi e per ciascuna attività».

Con riferimento ai profili imprenditoriali di dette società pubbliche (economia di mercato) così come relativamente alla corretta perimetrazione dei ben noti diritti speciali ed esclusivi, pare non vi siano particolari incertezze applicative; sul punto si consideri, peraltro, quanto esplicitato dal recentissimo D.Lgs. 201/2022 titolato Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica: «diritto esclusivo: il diritto, concesso da un’autorità competente mediante una disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa, compatibilmente con la disciplina dell’Unione europea, avente l’effetto di riservare a un unico operatore economico l’esercizio di un’attività in un ambito determinato; diritto speciale: il diritto, concesso da un’autorità competente mediante una disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa, compatibilmente con la disciplina dell’Unione europea, avente l’effetto di riservare a due o più operatori economici l’esercizio di un’attività in un ambito determinato».

Tralasciando, per economicità di esposizione, (i) le indicazioni della normativa Antitrust (unbundling societario) concernenti la generale tutela della concorrenza così come (ii) le prescrizioni del D.Lgs. 333/2003 [relativo alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri UE e le loro imprese pubbliche nonché alla trasparenza finanziaria all’interno di talune imprese], (iii) le plurime Direttive UE sul punto nonché, da ultimo, (iv) il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), ritenendo infatti opportuno, per quanto qui di nostro interesse, un approccio sistemico (ed univoco) rispetto alla norma del TUSP in esame, pare evidente come l’analisi debba vertere sulla nozione/definizione di società a controllo pubblico così come empiricamente rappresentata dal TUSP medesimo.

Come noto l’art. 2, I c., lettera m), TUSP, statuisce quanto segue: «società a controllo pubblico: le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)»; la lettera b) del medesimo comma definisce meglio la terminologia giuridica utilizzata: «controllo: la situazione descritta nell’articolo 2359 del codice civile. Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo». L’art. 2359 c.c. così recita: «Sono considerate società controllate: 1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa…….. omissis …..».

Ora, l’interpretazione della norma speciale del TUSP, incardinata nel generale perimetro del Codice Civile, ha generato una disputa dottrinale, di prassi ministeriale e, con alcuni distinguo, anche giurisprudenziale che ha lasciato gli operatori del sistema disorientati rispetto agli obblighi tipici della società a controllo pubblico; non ci riferiamo esclusivamente all’obbligo di separazione contabile ex art. 2, I c, D.Lgs, 175/2016 ma anche alle ben più invasive statuizioni degli artt. 3, 11, 13, 14, 19 e 22 del medesimo Provvedimento.

Conseguentemente, il tema dirimente è tentare di perimetrare correttamente quali siano realmente le società a controllo pubblico.

Applicando letteralmente il combinato disposto di norma speciale e norma generale ne emerge quanto segue: sono considerate società a controllo pubblico: 1) le società in cui un socio pubblico dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un socio pubblico dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un socio pubblico in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Pare quindi vi debba essere un unico soggetto che rivesta lo status rappresentato o, in alternativa, che più soci pubblici, in forza di patti parasociali e/o di accordi negoziali (coordinamento istituzionale) esercitino tale controllo societario congiuntamente.

In ordine squisitamente cronologico le reazioni a tale interpretazione letterale furono molteplici:
• il 15 febbraio 2018 la struttura del Ministero dell’Economia e delle Finanze (ex art. 15 TUSP) definisce il controllo pubblico ex TUSP, anche congiunto o mediante comportamenti concludenti, e ciò a prescindere dall’esistenza di un coordinamento formalizzato (istituzionale) coniando così una sorta di nuovo (e distinto) controllo societario rispetto al disposto ordinario del Codice Civile;
• con Sentenza n. 578 del 23 gennaio 2019 il Consiglio di Stato, sommariamente, rappresenta come invece sia necessaria la stipula di idonei patti parasociali funzionali ad una corretta espressione della volontà unitaria dei soci pubblici (controllo);
• con atto di indirizzo del 12 luglio 2019 il Ministero dell’Interno evidenzia la necessità, stante l’incertezza interpretativa connessa alla nozione di società a controllo pubblico, di un preciso intervento legislativo sul punto;
• con Delibera n. 859 del 25 settembre 2019 l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) rappresenta, in estrema sintesi, che la partecipazione pubblica maggioritaria (anche congiunta) al capitale sociale è indice presuntivo della situazione di controllo pubblico;
• con Delibera n. 11/2019 la Corte dei Conti, Sez. riunite, sede controllo, afferma che esiste empiricamente il controllo pubblico quando i soggetti pubblici, cumulativamente considerati, dispongono della maggioranza dei voti dei voti in assemblea ordinaria a prescindere dalla presenza di forme coordinate di controllo;
• con Sentenze n. 16/2019 e n. 25/2019 la Corte dei Conti, Sez. riunite, sede giurisdizionale, rappresentano la necessità, ai fini del controllo pubblico, della presenza di un’organizzazione giuridica unitaria (coordinamento istituzionale) in modo da poter imprimere un indirizzo strategico (unitario) alla società partecipata;
• con Sentenza n. 1564 del 3 marzo 2020 il Consiglio di Stato acclara che, ai fini del controllo pubblico ex TUSP, risulta indispensabile la presenza di patti parasociali tramite i quali i soci medesimi realizzano un coordinamento (istituzionale) tra loro in modo da assicurare il controllo sulle decisioni più rilevanti della società;
• con Sentenza n. 858 del 28 dicembre 2020 il TAR Emilia Romagna statuisce che non è sufficiente desumere il controllo pubblico dalla mera astratta possibilità per i soci pubblici di far valere (congiuntamente) la maggioranza azionaria in assemblea;
• con Delibera n. 18 del 29 gennaio 2021 la Corte dei Conti, Sez. controllo per il Veneto, esclude che la configurabilità del controllo pubblico ex TUSP possa essere desunta da comportamenti univoci o concludenti che consentano così di configurare il controllo congiunto degli enti controllanti;
• con Delibera n. 13 del 25 febbraio 2022 la Corte dei Conti, Sez. controllo per la Toscana, ritiene che una società a controllo pubblico si qualifichi come tale quando la medesima risulta partecipata in misura totalitaria da soci pubblici; la presenza di soli soci pubblici escluderebbe infatti la sussistenza di indirizzi gestionali che possano essere estranei alla sfera pubblica; nello specifico raccomanda all’ente pubblico socio (oggetto di detta deliberazione) di attivarsi con gli altri soci per formalizzare tale situazione di controllo (fattuale) mediante appositi accordi (coordinamento istituzionale) volti ad adottare indirizzi coerenti riguardo alle decisioni da assumere in merito alla partecipazione societaria;
• con Delibera n. 9/2023 (16 dicembre 2022) la Corte dei Conti, Sez. controllo per la Toscana, ritiene che nel contesto di società con capitale pubblico frammentato, la circostanza che una o più amministrazioni pubbliche dispongano, in assemblea ordinaria, dei voti previsti dall’art. 2359 c.c. costituisce un indice presuntivo di una situazione di controllo pubblico; detta Delibera richiama altresì un ulteriore dirimente concetto ricavandolo, peraltro, da talune precedenti espressioni della Sezione Autonomie della medesima Corte dei Conti: se la sommatoria delle partecipazioni pubbliche è pari a 100, è pacifica la sussistenza del controllo pubblico.

Ora, ben sappiamo che taluni, beneficiando di tale incertezza interpretativa (ed applicativa), hanno formulato strutturati pareri professionali tendenti a dubitare che, in assenza di specifico e formalizzato coordinamento istituzionale, non si possa (astrattamente) dare effettività ad un controllo pubblico congiunto; ma non solo: i medesimi, in altri contesti, hanno anche ipotizzato che, in assenza di specifica regolamentazione di fonte ARERA, non fosse possibile rispettare operativamente il disposto riferibile all’unbundling contabile (forse prendendo spunto dalla prassi MEF la quale valorizza l’intervento delle direttive settoriali dell’Autorità); alcuni altri, riferendosi al “vigente” D.Lgs. 333/2003, osservano che le soglie di esenzione previste dal medesimo potrebbero essere ancora applicabili; sul punto, al di là del dibattito dottrinale sulla possibile abrogazione implicita, post TUSP, del D.Lgs. 333/2003, si tende a scordare però che l’art. 6 del TUSP medesimo, empiricamente, non prevede, al pari della norma Antitrust, alcuna deroga dimensionale essendo chiaro l’intento del Legislatore di estendere il perimetro applicativo della norma ad una platea sensibilmente più ampia.

Pur considerando con significativa attenzione detti apprezzabili pareri professionali nonché alla luce dell’analisi di dottrina, prassi e giurisprudenza sul punto sopra meglio rappresentata, è opinione dello scrivente che (i) con il TUSP è nato un peculiare concetto empirico di controllo societario pubblico il quale prescinde, come detto, dall’esistenza di un coordinamento istituzionale (patti parasociali – accordi negoziali); (ii) secondo un’interpretazione logico-sistemica, una partecipazione pubblica maggioritaria (anche plurima) al capitale sociale è un indice presuntivo della situazione di controllo pubblico.

A raziocinio supporto di tali convinzioni due ulteriori spunti di riflessione: (i) inutile negare che l’operatore del diritto amministrativo, inizialmente, tende a privilegiare un’interpretazione letterale della norma; inutile negare, altresì, che, gli esiti delle analisi, anche di profilo giurisprudenziale, poi maturano così da avvicinarsi al proprio reale scenario di riferimento virando così verso una valutazione complessivamente empirica (e sistemica) dell’effettivo perimetro delle norme in esame; sul punto, immagino che anche il contesto qui in esame sia così caratterizzato; (ii) come scrisse qualche anno fa il Cons. Francesco Sucameli ….. occorre vi sia ragionevole certezza probatoria che la partecipazione pubblica maggioritaria si sia tradotta anche in un dominio sui comportamenti strategici e gestionali della società …….. tale prova non si può raggiungere per presunzioni ex-lege (art. 2728 c.c.) …… esse sono infatti governate dal principio di tassatività in quanto costituiscono una compressione della regola generale del libero convincimento del Giudice ….. si può peraltro affermare che sebbene la mera partecipazione maggioritaria e proteiforme di soci pubblici disorganizzati non sia indice sufficiente a presumerne legalmente un controllo pubblico, tale partecipazione diffusa, unita ad altri indici di prova, possa integrare una presunzione semplice ai sensi dell’art. 2729 c.c. …… la partecipazione pubblica diffusa, frammentata e maggioritaria non costituisce ex se prova o presunzione legale dell’esistenza di coordinamento tra i soci pubblici che deve invece essere accertato in concreto …….. può invece costituire una presunzione semplice la cui valutazione ex art. 2729 c.c. è rimessa al prudente apprezzamento del Giudice che ammetterà solo quelle gravi, precise e concordanti ed in mancanza di prova contraria diretta; verrebbe quindi da chiedersi come può manifestarsi detto prudente apprezzamento del Giudice in presenza, a solo titolo esemplificativo e non necessariamente esaustivo, di controllo analogo congiunto ex TUSP tipico dell’house-providing; la risposta parrebbe scontata.

 

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